
È un giorno importante. Una pranzo importante. Il cliente è di quelli che non bisogna perdere. Un finanziatore di riguardo. È il direttore di molte cliniche romane. Può sembrare sciocco dirlo, ma è anche una bella persona. Intendo dire non sempre è scontato. Ha permesso che si realizzasse uno dei miei progetti più complicati. Un pranzo almeno glielo dovevo.
Parliamo a lungo di un possibile impegno per adozioni a distanza. Nelle Filippine, per tanti motivi qualcosa che mi sta a cuore. Tutto mentre sua figlia Chiara – di otto anni – gioca con mio figlio Francesco. Lui è anche interessato ai miei commenti sul vangelo di Giovanni. Mi chiede se può leggerne qualcosa. Non so perché le cose accadano così: tutte insieme. Gli dico va bene, mentre non gli dico nulla del fatto che ho pubblicato un libro. Storie private. Parliamo però di mio figlio e del processo educativo insito in ogni malattia. Perfino quando non è nostra. Siamo in sintonia su questo.
Sua moglie mi sembra un poco spaesata. Vorrei inserirla nei nostri discorsi ma non so in che modo. Manca Iole. Ultimamente, troppo spesso, per le cose importanti Iole manca. Per un’influenza, per un altro impegno, per un cattivo umore.
E mentre parliamo osservo Chiara, sta dando uno dei suoi biscotti di cioccolato a mio figlio. La fermo. Cerco di farlo con la massima gentilezza.
«No Chiara. No. Francesco non può mangiare questo biscotto»
Mi guarda con sospetto. Glielo tolgo dalle mani.
«Vedi lui è celiaco. Per lui tutto ciò che è fatto con la farina è un veleno. Gli fa tanto male al pancino. Non può. Hai visto a tavola ha mangiato tutte cose diverse da noi»
Mi rendo conto che ho cercato d’essere gentile, ma sono scattato con apprensione e pieno di tensione. E so quanto i bambini avvertono questo, più delle parole.
«Ma qui c’è la cioccolata…» si giustifica lei. Quasi l’avessi accusata.
Le sorrido: «Certo, ma c’è anche la farina», prendo uno dei miei biscotti dalla borsa preparata da Iole e le dico: «Tieni, dagli questo».
«No! Daglielo tu!» mi risponde seccata. Si allontana imbronciata.
Alberto non dice nulla e neppure sua moglie. E ne sono contento, alle piccole beghe non occorre dare importanza. Poi penso che Iole sarebbe stata necessaria. Lei è abilissima in queste situazioni.
Francesco continua a fissarmi, penso che a lui non interessi molto la questione, ma solo che qualcuno si decida prima o poi a dargli un biscotto. Uno buono. Almeno credo. Così glielo do. Ne chiede subito un altro. «No!» dico «finisci prima questo e poi ti do l’altro». Lui insiste. Quasi me lo strappa dalla scatola. Provo a resistere. Lui tira più forte, vuole il secondo biscotto. Se insisto anch’io so che scoppierà a piangere. So che è sbagliato, ma vengo già da una situazione di difficoltà. Cedo. È sbagliato, diseducativo ma cedo. Gli do il secondo biscotto.
«Ma ne mangi uno alla volta, capito!», concludo tanto per darmi un tono. Lui neppure mi ascolta, semplicemente mi scansa. Va subito verso Chiara. Gentile, gentile davvero, le offre quel secondo biscotto. Lei sorride e accetta. Li osservo. Mi sento tanto stupido, quanto felice.
Ogni volta mi stupisco della mia incapacità di valutare quanto bene mio figlio sappia capire, interessarsi e risolvere le querelle, anche non sue.
Riprendo a parlare a lungo, della Fondazione e dei miei progetti. Alberto annuisce. Ma per quanto siano importante l’incontro, non riesco a togliermi dalla testa come sia facile usare un biscotto per la pace e quanto a noi adulti riesca incredibilmente complicato.